Frieder Nake: l’artista digitale della risonanza visiva

Frieder Nake

Viaggiamo con il corpo e con la mente, attraversando l’Oceano Atlantico ed atterriamo nel vecchio continente. L’Europa. In Germania e più precisamente nella città di Stoccolma nasceva uno dei più importanti pionieri della digital art. Il suo nome è Frieder Nake. Frieder nasce il 16 Dicembre 1938, pochi giorni dopo una delle peggiori azioni del partito nazista. Nella notte tra il 9 e il 10 Novembre, sotto l’egida istigazione di Joseph Goebbels, ufficiali del partito, militari e seguaci fu eseguito con rapida precisione, un devastante pogrom contro la comunità ebraica, anche da tutte e tutti noto come “La notte dei cristalli” (in tedesco Reichskristallnacht). 

In questo scenario nasce il nostro prossimo protagonista. Nel 1958 è studente di matematica presso l’Università degli Studi e della Tecnica di Stoccarda, nel quale si laurea nel 1964. In questa forbice temporale accade qualcosa che per sempre cambierà il destino di Frieder. Durante il percorso di studi, frequenta le lezione tenute da Max Bense (Strasburgo, 7 febbraio 1910 – Stoccarda, 29 aprile 1990) scrittore e filosofo tedesco di fama internazionale. Soffermiamoci per un momento su questa figura di assoluta importanza. 

Filosofo della scienza e razionalista, vive la sua intera vita nel definire il concetto di realtà come eliminazione della separazione tra discipline umanistiche e scienze naturali. Proprio in quegli anni, quando Frieder Nake frequenta i corsi di Max Bense, quest’ultimo pubblica una delle sue numerosissime opere “Grignan-Serie. Beschreibung einer Landschaft” ovvero “Descrizione di un paesaggio”. Il suo è un lavoro instancabile tanto da pubblicare nella sua vita centinaia e centinaia di libri, manifesti e saggi. Fra questi migliaia di pensieri e teorie, troviamo l’estetica dell’informazione. 

Sviluppata inizialmente insieme ad Abraham M. Moles nella seconda metà degli anni 50, Max Bense cerca di collegare cinque mondi molto distanti fra loro creando un ponte di pensiero che li colleghi. Filosofia, psicologia, estetica, scienze sociali e teoria dell’arte. Il suo principale obiettivo era quello di sviluppare una teoria che permettesse di misurare la quantità e la qualità delle informazioni negli oggetti estetici, consentendo così una valutazione dell’arte che va oltre il “chiacchiericcio storico dell’arte” (cito testualmente). 

Cerca così di creare un modello per teorizzare come il processo di produzione artistica porti necessariamente al consumo della stessa opera e che la critica è correlata in termini che suggeriscono un calcolo matematico. Un pensiero che porta all’estetica hegeliana in cui l’arte è vista come un processo epistemico teleologico. Niente di più distante dalla nostra Katherine Nash, raccontata nel capitolo precedente, e contrapposto al pensiero del sottoscritto. Sospendiamo per un momento la critica nei confronti di Max Bense, per portare nuovamente la nostra attenzione su Frieder Nake. Ci penseremo fra qualche pagina. Un altro avvenimento che cambierà per sempre la vita del nostro protagonista avviene anch’esso durante il periodo universitario. Nel 1959, durante uno stage presso la sede IBM GERMANY presso il Computing Center di Böblingen, incontra per la prima volta un elaboratore informatico. 

Un computer. Ok, cerchiamo di ricordarci tutte e tutti dell’aspetto di un computer alla fine degli anni 50. Parliamo di veri e propri dedali di cavi, circuiti. Pesanti, grandi come armadi e con una potenza di calcolo veramente molto ridotta. Chissà, però, cos’è capitato nella mente del giovane Frieder quando si ritrovò di fronte al suo primo elaboratore informatico. Il risultato di tali pensieri non si fa attendere: nel 1963 venne prima assunto come assistente di ricerca dallo stesso Computing Center per poi ricevere un importante compito: far parlare artista e macchina per generare da questo dialogo, un’opera d’arte. 

Qui molte e molti di voi andrebbero in crash per usare un eufemismo informatico ma questa parte della storia di Frieder Nake ha dell’incredibile. Il Computing Center aveva ordinato ed acquistato uno dei primissimi modelli del famoso ZUSE Graphomat Z 64, una delle primissime stampanti piane ad alta precisione. Il suo inventore, Konrad Zuse, aveva originariamente previsto che essa fosse impiegata nella produzione di mappe e per scopi di registrazione dei terreni agricoli e civili. Il Graphomat Z 64 era completamente basato sulla tecnologia transistor ed era controllato da un codice che doveva essere inserito sul nastro perforato oppure, in alcune versioni, sulle schede perforate.

Il “plotter” era azionato da due motori che lo mettevano in movimento, muovendolo sopra al foglio. Ma la spettacolarità di questa macchina era nella sua capacità di avere diverse velocità per ogni asse d’azione consentendo così la realizzazione di linee davvero molto precise per gli standard dell’epoca. Parliamo di una precisione pari a 1/16 mm.

Pazzesca! 

Il processo di stampa era altrettanto fantascientifico per l’epoca. La testa di stampa (per noi ora sarebbe l’ugello, per intenderci) aveva con sé un massimo di 4 penne che si muovevano sull’asse verticale e che, caricate di inchiostri colorati, disegnavano su carta anche contemporaneamente creando effettistiche splendide. Il Graphomat Z 64, come la maggior parte della macchine dell’epoca, risultava pesantissimo: circa una tonnellata. La costruzione e la sua componentistica era opera del suo stesso creatore, che non ebbe un grande successo commerciale. 

Ora immaginatevi un giovane Frieder, di fronte ad un computer grande tanto quanto un armadio e con affianco una stampante piana dal peso di circa una tonnellata. Unite tutto questo con il suo percorso di studi, con il suo essere affascinato dalle teorie di Max Berse ed ecco i suoi primi esperimenti nel campo della Computer Art. 

Qualche anno più tardi assieme a Georg Nees da vita alla mostra Computer-Grafik Program presso la Wendelin Niedllick Gallerie di Stoccarda. L’impatto estetico deve essere stato qualcosa di incredibile per tutte e tutti coloro che visitarono quella mostra tra il 5 Novembre e il 26 Novembre 1965. Fra le innumerevoli opere troviamo la sua più riuscita: 13/9/65 Nr. 2 (“Hommage à Paul Klee”). Una vera icona per il movimento della Digital Art. L’artista si ispira al dipinto a olio di Paul Klee “Hauptweg und Nebenwege” datato 1929. 

Si ispira. Non copia. Non emula. E qui il primo vero abbattimento di quella barriera fra pura tecnica ed arte enunciato dallo stesso Frieder Nake: contrariamente ai suoi colleghi e colleghe che cercavano di utilizzare queste prime e rudimentali macchine per riprodurre opere create con tecniche tradizionali, 13/9/65 Nr. 2 (“Hommage à Paul Klee”) è uno sguardo prospettico avanguardistico posto oltre a quel lenzuolo della realtà. Uno strappo folgorante, profondo. E a mio avviso, impossibile da ricucire. 

Le linee fotografano un’umanità artistica senza precedenti, mostrando quanto di più profondo ci possa essere nella Digital Art. Un’opera difficilmente contestualizzabile in qualche forma tradizionale, ricca di armonia e di ritmo. I cerchi e le linee che la compongono sembrano danzare fra loro in un moto perpetuo fino ad annullarsi in una terza dimensione oltre l’orizzonte che si può scorgere oltre alla breccia creata dall’artista fra finzione e realtà.

Più avanti, lo stesso Frieder Nake, descriverà il processo artistico e tecnico che lo portò a costruire l’opera, ponendosi spesso in una posizione di causalità, di irrazionalità lasciandosi così alle spalle il mondo tecnico-scientifico che non tollera il caso e il conseguente caos. L’analisi che si scontra con l’impeto. Il risultato certo che si annienta con le tecniche di produzione. Anche se Nake, non perde la sua vena tecnica, e nel documento Programm-Information PI-21 a pagina 10 elenca specificatamente i passaggi che l’hanno portato a creare l’opera. Spiega analiticamente il numero dei segni, la posizione di ogni cerchio, le dimensioni del raggio e la divisione della tavola. Ma ammette: l’opera risulta irripetibile. È unica. Non riproducibile esattamente. La natura tecnologica, analitica e la supremazia della macchina cadono sotto i colpi dell’immateriale forza artistica dell’autore creando circa 30-40 opere derivate, ad essa collegata, che risultano, quindi, originali. 

L’anno successivo, nel 1966, precisamente dal 15 Gennaio al 15 Febbraio accade qualcosa di epico. Viene inaugurata la mostra Deutsches Rechenzentrum Darmstadt. Non è solo una mostra. Ma un vero e proprio incontro tra diverse arti che insieme condividono con il vecchio continente, ferito dal secondo conflitto mondiale, e con il mondo, l’irrealtà. I disegni di Frieder Nake si uniscono ai testi di Herd Stickel e alla prima computer music composta da Ben Deutschman, Lejaren Hiller, Max V. Matthews in una danza artistica senza precedenti. 

La risonanza di questa mostra rimbalza in ogni angolo del mondo, creando caos, generando disordine, spingendo centinaia di altri ricercatori ad abbandonare la calcolatrice e le equazioni per sviluppare quella che noi tutte e tutti chiamiamo digital art nelle sue multiforme. Provate a collocarvi con il pensiero di fronte a forme e colori mai visti, testi e frasi provocatorie e taglienti come lame, affogati tra musica concreta e sperimentale generata da transistor e valvole luminose. Ma proviamo a porci questa domanda: cosa poteva essere per tutte e tutti noi Frieder Nake?  Uno scienziato e un ricercatore degli anni 60. Una variabile di quella infinita equazione chiamata matematica. Invece si eleva sopra d’essa, la strappa, la accartoccia come fosse un foglio di carta da buttare nel cestino e ci mostra quanto essa non può raccontarci tutto. E non faccio riferimento a movimenti negazionisti che li considero alla stregua di ubriaconi da bar del quartiere. 

Parlo di “non dimostrare”. Parlo di emancipazione dell’essere umano dallo strapotere della macchina e delle sue leggi. Parlo del ritorno all’essere anarchico dell’artista, sempre spinto dalla curiosità, dalla ricerca del bello e della libertà. Quella libertà che gli ha permesso di intravedere in due enormi elaboratori informatici, non un bavaglio scientifico impossibile da scalfire, bensì uno strumento che senza la presenza di una mente libera avrebbe continuato a stampare carte e mappe per il catasto di qualche città. Il fine non esiste nelle opere di Nake, tanto che lo si può solo immaginare, sfocato come una fotografia fuori fuoco. Eppure oltre quel lenzuolo, si poteva vedere tutto così nitido. Tutto così reale. 

 


 

FONTI / SITOLOGIA / BIBLOGRAFIA

University of Minnesota, USA

Victoria and Albert Museum, London, UK

Medien Kunst Netz – Media Art Net

Compart – Center of Excellence Digital Art

EduEda

Ecologies of Intimacy, Magda Tyżlik-Carver